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Un racconto per i cento anni di Mario Baldi

Un racconto per i cento anni di Mario Baldi. Mario Baldi, cilentano doc, nasce il 25 marzo 1922. Benvoluto da tutti, è stata una figura molto amata non solo nella comunità della frazione di Zona Lago di Santa Maria di Castellabate, luogo natìo in cui ha trascorso parte della sua vita che si è divisa tra il Cilento, Napoli e Livorno. Il racconto “ I colori di nonno Mario”, è un modo di ricordare una presenza che non è mai andata via nelle persone che lo hanno conosciuto ed amato. Un racconto breve che, grazie all’escamotage del richiamo alla memoria con i colori, restituisce dei piccoli frammenti di quel vissuto filtrato attraverso gli occhi e i ricordi della sua prima nipote che ne fa omaggio a quelli che sono venuti dopo e che non lo hanno conosciuto di persona.

I colori di nonno Mario

Era il rosso maturo dei pomodori nell’orto e il giallo e il verde dei limoni ancora acerbi dei tuoi alberi che sono ancora lì a fare ombra, altalene di rami per merli, passeri e tortore. Qualcuno è caduto, qualche altro è seccato, ma i più caparbi ci sono, sono rimasti lì nel tuo giardino, pietre miliari di ossigeno e clorofilla, a suggerire esattamente il luogo in cui trovarti per chiacchierare un po’, seminando parole come quei noccioli piantati così per gioco che sono diventati l’arancio dei nespoli ed albicocchi e il rosa leggero dei mandorli in fiore. Quanto amore può conservare un luogo? Quanti ricordi? Quante anime sono passate? Quanti piedi sporchi di sabbia? Quanta vita, tanta. Fotografie non scattate restituiscono pennellate di giorni, i tuoi nei miei ricordi che si mescolano ai momenti del prima, di un tempo che non ho vissuto. Tra le macerie di un tetto caduto ho trovato la tua pagella ingiallita. I buoni voti di un bambino prima della guerra, prima del viaggio a piedi dalla Toscana al Cilento, prima del soldato tedesco che ti ha lasciato andare, prima del quadro di Sant’Elena trovato in un covone di fieno, prima delle nostre nuotate, dei gatti e dei girasoli. E allora ho immaginato te, giovane volontario nel grigio del fango fiorentino, ma ancor prima di te, tuo padre, sporco di nero di terza classe, sbarcato a Ellis Island, giovane migrante che, ritornato a casa, regala un pezzo della sua terra per costruire una chiesa dedicata a sant’Antonio. E come lui, nella tua vita hai costruito tanto, la tua famiglia, e poi certezze di mattoni in Cilento e poesia di bacheche di legno, nei pomeriggi umidi dello scantinato di Soccavo, riscaldati da una stufetta a corrente. E in contrasto con quella penombra, ecco che tutto il blu del cielo e del mare delle mie estati più lunghe. Tre mesi di salsedine e piedi scalzi nell’ultimo avamposto in cui da sempre il rumore delle onde sovrasta quello dei pensieri. Il nostro buen retiro, in cui c’è l’unico mare possibile, quello in cui spavaldo sfidavi i cavalloni e dove ho imparato a nuotare. Nia maro. Mare nostrum di libeccio scirocco e tramontana. E il bianco delle nuvole che scorrevano dal finestrino della tua auto quando mi accompagnavi a prendere un treno. E con te non ne ho mai perso uno. E poi tutti quei girasoli in quell’ultima campagna pisana. Quanto sole. Quanto. Cento anni di sole. 

Cento anni oggi, i tuoi passi dentro un secolo. Cento anni oggi. E oggi c’è Benedetta. C’è Daniele. C’è Beatrice. C’è Eleonora, C’è Dora. C’è Antonio. E nei loro occhi ci sarà la meraviglia dei racconti che parlano di te. Cento anni oggi. E sei ancora in questi nostri occhi.

Manuela Ragucci

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Pietro Pizzimento

1 commenti

g 25 Marzo 2022 at 16:50

meraviglioso pensiero! spero un giorno che anche i miei nipoti possano trovare delle parole così belle per descrivere il loro amore!

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