I laziali hanno sempre poche parole, vivono intensamente, così gli ha insegnato anche Eriksson. del pallone, complice una distanza elettiva dai cugini romanisti ma di cui apprezzo l’altra parte della medaglia tra colpi di sfottò. E sono da sempre per meno parole, più fatti. Anche pochi. Come allenatore? Con quei campioni e quella squadra forse di campionati avrebbe potuto vincerne anche tre. Ed è vero, era decisamente una brava persona. E non solo perché a inizio gennaio ha dichiarato che un brutto male se lo sarebbe portato via entro l’anno. Era una brava persona perché con il sorriso stampato e le lacrime agli occhi è venuto a strapparsi gli applausi delle migliaia di persone accorse più per salutarlo che per assistere alla partita e poi ci ha detto di non piangere per lui. Accadeva pochi mesi fa. In quel match che non ha regalato grosse soddisfazioni. Ma la vittoria nostra è stata sempre sugli spalti. Non il massimo del gioco né dei giocatori. Lo spogliatoio rotto, i tanti addii brucianti negli ultimi tempi, le sconfitte e il trattamento riservato ad alcuni grandi personaggi del mondo vecchio del pallone. Eppure a me quanto piacciono queste vecchie generazioni. Quelle che ti insegnano qualcosa anche quando non le ascolti, anche quando non le vedi. Che con un gesto scontato fanno diventare una poesia e ciò che mettono in campo, mai in prima persona, incassano il risultato e poi si prendono la responsabilità di tutto. Come pugili, trattenendo i colpi. Elaborando. Ragionando. Distinti. Dicendo “ok, dove abbiamo sbagliato? Ok, ricominciamo, proviamo un nuovo modulo, una nuova intesa, una nuova formazione” e intanto pensano “le vostre emozioni saranno per sempre un mio problema, le gestiamo insieme” sulla panchina, agli allenamenti.
Camminando nervosamente nella linea riservata fuori dal campo. Pensate a stare in famiglia, a dedicarvi a voi, al gruppo, alla squadra. Il calcio come la vita è fatto di occasioni, momenti, circostanze. Capita che tutto si rompa e tu debba ripensarti, ricostruire, ricominciare. Anche quando vorresti mollare tutto eppure a mollarlo definitivamente non ce la fai mai. Come quando hai lottato contro un qualcosa e poi ti sei arreso al pensiero che l’unica cosa da fare è lasciarti andare ad una parte di te che non ti vuole più su questo mondo, ma che ti vuole in cielo, a brillare come la stella più bella del firmamento. Sven era una brava persona perché una volta finita la cerimonia se n’è ritornato a casa, con il suo mestiere, la sua famiglia a combattere con questo mostro che non è stato clemente abbastanza. E ieri ce lo ha portato via. Ed era un grande allenatore. Uno che con i giocatori ci parlava. Ci si sedeva accanto ad uno come Nesta, un ragazzo pettinato, con la sua faccia pulita. E a me ricordi tutto. Ne bambina. Il campo. Gli amici. I gruppi. I colori. Gli odori. Eravate belli nella vostra eleganza completamente informale, anche col completo, anche fuori dal campo. Lo stile trasmesso solo a guardarli. Avrebbero potuto indossare qualunque indumento, di rappresentanza o non. Sedere in curva, distinti, Tevere, Maestrelli. Uomini del popolo. Ragionieri. Stile inglese. Nel look e nel modo di rappresentare e rappresentarci. In campo e fuori. Si dice che i grandi amori non ti lasciano mai, anche quando se ne vanno. Ed è vero. È proprio così. Se si arriva a toccarsi in un punto così profondo da non riuscire a distinguere più il confine, tra dove finisce uno e comincia l’altro, questa è pura magia. Così come lo è stato in campo, nel calcio. Così come è stato capace di ridare lustro ad una città che da troppo tempo soffriva un altro agognato risultato vero. Tu sei stato la nostra luce nel buio. Così tanto accecante da chiedersi se fosse ancora possibile vivere una gioia simile. Ci hai toccato dove mai nessuno era arrivato. E lo hai fatto con calma. Con delicatezza.
Esattamente come mio nonno mi ha insegnato, senza dirlo mai, a diventare laziale. Esattamente come ci hai chiesto di non piangere per te perché la vita è bella e va vissuta. Ed alcuni magari lo faranno, altri meno. Oggi l’unica cosa a cui penso è che hai portato una squadra di grandi campioni a vincere il campionato regalando il sogno più grande a tutti i laziali. Soprattutto quelli della mia generazione, unite improvvisamente a quelle prima, dopo, di padre in figlio. Eravamo incollati allo schermo. In tantissimi allo stadio. Lo ricordo come se fosse ieri. Poi giù scesi in piazza. Ho costretto mio padre. Della roma. Tutti a sfilare. La città discretamente in festa, senza troppi fronzoli, senza imbrattare o rovinare niente. Ma una stella più brillante nel firmamento cosa importa se in questo momento brilli bianco celeste o di un altro colore. La curva grata di vederti sfilare da sotto, pochi mesi fa, riuscendo a darti l’ultimo saluto. Le lacrime dei tifosi. Veri, pochi, felici, manipolo di fratelli. E degli amanti del calcio. La stessa curva di cui mi sono innamorata da bimba, in cui ho ascoltato le canzoni del cuore. Che mi ricordavano i momenti più belli della mia vita. Soli, ma insieme. A difenderci dalla roma sud, quando una volta, ricordo distintamente, la mamma di un mio compagno di classe disse a me bambina strillando a me con un vestito celeste, “i laziali sono delle caccole”, a me, forse 8 anni. Non ci rimasi male. Avevo imparato a gestire, a dimostrare il mio valore senza bisogno di fare, di dire. Ecco, da lì ho capito tutto ciò che non volevo essere. A litigare con altri laziali perché quella è mia figlia e l’ho trattata bene solo io. E tu l’hai trattata con i guanti. Possiamo sgridarla a volte. Ma avrà sempre un posto speciale nel mio e nel cuore di tutti i laziali. Sarò sempre di fianco a lei, a sostenerla nelle sue scelte, anche le più assurde. Ecco Sven grazie perché in qualche modo anche tu mi hai insegnato ad amare. E anche se non lo faccio sempre sì , so farlo molto bene. Ecco, tu per me sei stato questo, e lo sei stato per il calcio. E potrei scrivere di più. Potrei scrivere meglio, porrei formalmente costruire un articolo più informativo, più bello. Ma oggi conta che potrei scrivere per sempre, ma non lo farò. Potrei piangere a dirotto, come faccio spesso, ma oggi tu mi hai chiesto di non piangere e non lo farò. Guarderò solo il cielo ogni tanto con i miei soliti “Occhi Lucidi”.
Gli Oasis oggi si son riuniti. E io ti dedico Live Forever. Buon viaggio. A me qui, a te in cielo, o dovunque ti trovi ora.