Il nuovo commissioner Adam Silver subentrata al mentore David Stern.
La New Orleans Arena è il teatro dell’annuale partita delle stelle di metà stagione, andata in scena domenica scorsa, in cui si affrontano i giocatori più forti della lega divisi, al solito, nelle compagini di Eastern e Western Conference.
Proprio quella New Orleans colpita da un’enorme catastrofe naturale che prese il nome di uragano Katrina, solo nove anni dopo ospita uno degli eventi sportivi più seguiti a livello globale. Molti cittadini cercano ancora di capire come tornare ma, nel frattempo, transita la carovana NBA portando con sé l’inconfondibile carico di spettacolarità e il consueto richiamo mediatico di cui da quelle parti, in Louisiana, si avverte il bisogno. Mettendo da parte la retorica politica e i proclami altisonanti, il giusto modo per far sentire importante una città che cerca ancora di risollevarsi.
Tra i tanti motivi di interesse di una partita di basket, nella particolare sfida dell’All-Star Game, sfuggono quelli legati al risultato, trattandosi sostanzialmente di un match amichevole con interpreti leggermente più competenti di quelli delle tradizionali partite al campetto, anche se il parquet ci racconta di quel tipo di gioco: priorità all’estetica del gesto, difese accondiscendenti e termometro agonistico che rasenta il glaciale. Per converso, non mancano gli episodi che fanno strofinare gli occhi, come alcune surreali giocate che pongono l’asticella tecnica e atletica ad altezze siderali: schiacciate roboanti, assist prelibati ed eccelsi saggi balistici al tiro, iniziative rare a vedersi in partite di campionato causa obblighi tattici e salvaguardia delle coronarie degli allenatori. Sebbene si tratti di una partita ‘’divertiamoci e vediamo di non farci male’’, nel finale punto a punto e con 216 paesi collegati nessuno ci sta a perdere, con fenomeni del calibro di Kevin Durant e Lebron James che si sfidano a colpi di prodezze. La sferzata decisiva a favore dell’East la concede Kyrie Irving dei Cleveland Cavaliers che, vincendo la concorrenza dei più quotati compagni-avversari, si aggiudica il titolo di MVP grazie ai suoi 31 punti e 14 assist. Lo score è: 163-155 per la squadra allenata da coach Frank Vogel.
Il trofeo destinato al migliore in campo è stato il primo consegnato dal nuovo commissioner Adam Silver, subentrato al mentore David Stern, l’uomo che, per quanto riguarda marketing ed espansione, più degli altri ha rivoluzionato la lega nel suo mandato trentennale, ergendo l’azienda NBA a modello di funzionalità. Il suo successore si presenta non da assoluto carneade, essendo stato nell’orbita del sistema Stern per diversi anni e con diversi incarichi quali ‘’chief of staff’’ e direttore operativo, giusto per citarne due.
La sensazione è che si tratti di un passaggio di testimone all’insegna della continuità amministrativa, lo stesso Silver ha posto in cima alla lista delle priorità la buona salute delle trenta franchigie, due delle quali (Knicks e Lakers) sono valutate oltre il miliardo di dollari. Dichiaratosi fervente sostenitore della shirt (maglietta a mezze maniche) nella ‘’faida’’ contro la classica jersey (canotta), ponendo in posizione preminente il lato merchandising rispetto a quello tecnico (alcuni giocatori lamentano qualche difficoltà di movimento nell’azione di tiro), ha affermato di voler alzare di un anno l’età minima d’ingresso nella lega dopo il college, da 19 a 20 anni, per un motivo in particolare: avere un ragazzo più maturo e predisposto al professionismo. Altra ragione potrebbe essere la volontà di conferire maggior lustro al campionato collegiale, anch’esso attentamente seguito negli States, regalando magari un anno di rivalità in più tra i migliori prospetti del paese a livello NCAA.
Silver e la politica dei piccoli passi, doverosi quando indossi le enormi scarpe di chi ti ha preceduto. In bocca al lupo.